sabato 31 gennaio 2015

Recensione Flash: La Teoria del Tutto


Anno e Nazione di Produzione: Gran Bretagna 2014

Titolo originale: The theory of everything

Distribuzione in Italia: Universal Pictures

Genere: Drammatico

Durata: 123 minuti

Cast: Eddie Redmayne, Felicity Jones, Charlie Cox, Emily Watson, David Thewlis

Regista: James Marsh

Stephen Hawking è un promettente dottorando in Fisica dell'università di Cambridge. Tra i più visionari del suo corso, Stephen è incoraggiato dal professor Dennis Sciama nello sviluppare le sue teorie sull'origine dell'universo. Nel frattempo, incontra Jane. Mentre la sua teoria sembra arrivare ad una conclusione strutturata, sono i suoi muscoli che iniziano a non assicurargli sostegno. Stephen scopre, così, di essere malato della sindrome di Lou Gehrigh, la sclerosi laterale amiotrofica. "E il cervello?", chiede Stephen al dottore. "Il cervello non subirà alcun effetto della malattia", gli assicura. Finché c'è vita c'è speranza, pensa Stephen. Si sposa con Jane, ha tre figli, e oggi è uno degli scienziati più importanti al mondo. Una mente illuminata dalla passione per la vita.
Tratto dalla biografia di Jane Hawking, James Marsh porta al cinema la vita del celebre astrofisico Stephen Hawking. Tra i film più attesi al cinema, candidato a cinque premi Oscar, già ne ha vinti altrettanti. La stella del film è sicuramente Eddie Redmayne: definire straordinaria la sua interpretazione è riduttivo. Non banalizzare un ruolo così impegnativo non è semplice, lui però ha regalato uno Stephen vero, commovente. Qualcuno potrà dire: ti piace vincere facile? Già perché quando c'è di mezzo un coinvolgimento non solo emotivo ma anche fisico, gli interpreti sono sempre premiati. Io dico che, per Eddie Redmayne, ci sta. Bravissima anche Felicity Jones, regala emozioni. La sua Jane semplice, determinata ma fragile e mai affettata conquista. Il problema del film sta nella struttura che Marsh ha voluto dargli: scontata, banale, convenzionale. Un contenitore quasi vuoto, dove i sentimenti, secondo il regista, dovrebbero bastare. 

Il trailer:


Consigliato: Nonostante tutto, sì

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giovedì 29 gennaio 2015

Recensione Flash: I Pirati Di Silicon Valley


Titolo originale: Pirates Of Silicon Valley

Anno e paese di produzione: USA 1999

Genere: Biografico

Durata: 95 minuti

Cast: Noah Wyle, Anthony Michael Hall, Joey Slotnick, Josh Hopkins, John DiMaggio, J.G. Hertzler, Gema Zamprogna, Gailard Sartain, Melissa McBride

Regista: Martyn Burke

La morte di Steve Jobs tre anni fa suscitò un gran clamore mediatico, a tal punto che il cinema decise di omaggiarlo con il film Jobs, nel quale il padre di Apple è stato interpretato da Ashton Kutcher. In questa pellicola, basata sulla biografia di Steve, il regista Joshua Michael Stern è riuscito a delineare in maniera chiara ed obiettiva la figura del celebre informatico americano, noto a molti soprattutto per i suoi eccessi e i suoi lati negativi.
A breve, invece, inizieranno le riprese di un altro film a lui dedicato, la cui pre-produzione sta passando un periodo alquanto travagliato, a causa della difficoltà di trovare l'attore adatto al ruolo di protagonista (inizialmente Christian Bale aveva accettato di impersonare Jobs, ma ha poi dato forfait; in seguito, è stato scelto Michael Fassbender).
Ebbene, per varie ragioni, a partire dal mio amore per l'open-source e Google Android, non ho mai apprezzato (e difficilmente apprezzerò) i prodotti Apple, a causa del modo di fare troppo elitario dell'azienda. Ciononostante, visto che la figura del magnate statunitense ha scatenato un tormentone a livello cinematografico, ho deciso comunque di approfondire la questione ricordandomi e cercando invece un vecchio film TV, poco noto in Italia nonostante sia stato trasmesso sulle nostre reti vari anni fa, in cui anziché concentrarsi solo sulla figura di Jobs, si parlasse nello specifico di una cosa che da sempre attirava la mia curiosità, ovvero la nascita della rivalità tra Steve Jobs e Bill Gates, fondatore di Microsoft.
Questo film TV di cui parlo si chiama I Pirati Di Silicon Valley, uscito nel 1999 e basato sul libro Com'Era Verde Silicon Valley di Paul Freiberger e Michael Swine.
Naturalmente, essendo una pellicola di 15 anni fa, la storia si ferma al momento in cui, almeno ufficialmente, la rivalità tra le due case produttrici ha avuto fine, con la pace tra Jobs e Gates, interpretati rispettivamente da Noah Wyle (il dottor Carter di E.R.) e Anthony Michael Hall, dinanzi ad una vasta platea di Apple-fans sbraitanti per tale scelta.
La storia viene narrata dai soli uomini fidati di questi due rivali, ovvero Steve Wozniak, il grande amico e socio di Jobs, co-fondatore di Apple, interpretato da Joey Slotnick. e Steve Ballmer, amico di Gates ed amministratore delegato di Microsoft dal 2008 fino a quest'anno, interpretato da John DiMaggio.
Tramite i loro racconti, vengono delineate le figure dei due eterni rivali, in un continuo rapporto odi et amo, scatenato soprattutto dalla pretesa di Jobs di aver inventato tante cose per la sua azienda (in realtà rubate ad altre ditte minori. come il mouse inventato dalla Xerox; infatti, non a caso il motto che sia Jobs che Gates ripetono costantemente è:"I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano!"), e dal puntualissimo arrivo di Gates sulle scene al fine di appropriarsi di suddette invenzioni per Microsoft senza chiedere il permesso, forte proprio del fatto che esse non sono opere originariamente realizzate dalla Apple.
Di fatto, tramite questo film, posso ben dire di aver finalmente capito come funzionano ed hanno sempre funzionato le cose in queste due aziende. Ripeto, non lo dico perché sono un convinto androidiano, bensì perché giudico in maniera obiettiva la situazione e posso affermare che, in difesa di Bill Gates, sempre tacciato di aver rubato le idee di Apple, Steve Jobs, se non fosse stato per Steve Wozniak, ma soprattutto, se non fosse stato per il suo talento, fascino e, perché no, per la sua crudeltà e cinismo nei confronti dei rivali e delle persone meno fortunate, non sarebbe mai arrivato ai vertici dell'industria dell'informatica.
Quindi consiglio assolutamente di vedere questa pellicola, sebbene, a livello visivo, i due protagonisti non siano poi tanto simili ai personaggi reali (Noah Wyle ed Anthony Michael Hall sono bravissimi nell'impersonare questi ruoli, ma Wyle non assomiglia minimamente a Jobs, mentre Hall è praticamente identico a Gates, eccezion fatta per i capelli fin troppo biondi, ma che pretendete, è pur sempre un film TV!), proprio per comprendere quanto dispotici ed egoisti bisogna essere per diventare importanti a questo mondo,
Buona visione!

Il trailer:


Consigliato: Sì

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lunedì 26 gennaio 2015

Recensione Flash: The Imitation Game


Anno e Nazione di Produzione: Gran Bretagna, USA 2014

Distribuzione in Italia: Videa - CDE

Genere: Biografico

Durata: 113 minuti

Cast: Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Allen Leech, Mark Strong, Charles Dance, Rory Kinnear

Regista: Morten Tyldum

Negli anni Cinquanta, il professor Alan Turing insegna a Cambridge. Dopo un tentativo di furto nella sua casa, il detective Robert Nock, durante le indagini, scopre l'omosessualità di Turing, allora considerata un reato, ma, soprattutto, il lavoro top secret che il professore svolse per il governo inglese durante la seconda guerra mondiale. Così, Turing inizia a raccontare al detective la sua storia, e di come "sconfisse" Enigma, la macchina che i tedeschi adoperavano per inviare messaggi decriptati alle loro truppe, sparse per l'Europa, pronte a seminare morte.
Il norvegese Morten Tyldum, dopo il grande successo di Headhunters, per il suo primo film in inglese sceglie Alan Turing come protagonista. Era un film che doveva essere fatto, per vari ed importanti motivi. Il bullismo e lo straniamento del diverso, l'omosessualità condannata come un crimine, la sottomissione della donna all'uomo, fino alla vittoria su Enigma, che grazie alla mente geniale di Turing e alla macchina da lui ideata, il precursore dei nostri computer, fu decodificata e permise di salvare ben quattordici milioni di vite umane. Però, a mio parere, è un film dal ritmo non omogeneo, molto lento per la prima ora, che poi continua tra alti e bassi. Le interpretazioni sono buone, in primis quella emozionante di Benedict Cumberbatch, ma non da nomination agli Oscar. Sarebbe stato un ottimo film per la TV. 

Il trailer:



  
Consigliato: Nì


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giovedì 22 gennaio 2015

Una Bi-Recensione Epica: Lo Hobbit - La Battaglia Delle Cinque Armate


Anno e Nazione di Produzione: USA, Nuova Zelanda 2014

Titolo Originale: The Hobbit - The Battle Of Five Armies

Distribuzione in Italia: Warner Bros Italia

Durata: 144 minuti

Genere: Fantastico

Cast: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Evangeline Lilly, Cate Blanchett, Luke Evans, Orlando Bloom, Lee Pace, Benedict Cumberbatch, Ken Stott, Graham McTavish, Aidan Turner, Manu Bennett, Billy Connolly, Sylvester McCoy, Christopher Lee, Mikael Persbrandt, Ian Holme, Hugo Weaving, Ryan Gage

Regista: Peter Jackson

Pontelagolungo è colpita dalla furia del drago Smaug, dopo che i nani hanno raggiunto Erebor. Tra morte e distruzione, Bard l'Arciere, richiamando le gesta del nonno, con estremo coraggio, riesce a fermare la catastrofe. Smaug viene ucciso, la notizia si diffonde presto in tutta la Terra di Mezzo. Erebor diventa preda di rivendicazioni da parte di elfi, uomini ma, soprattutto presa di mira da una minaccia nuova. I nani, intanto, sono allo sbando: la febbre dell'oro ha soggiogato Thorin, e la compagnia, senza il suo leader, non sa come reagire al pericolo crescente. Bilbo Baggins, lo hobbit dal cuore grande e generoso, cerca di portare a termine la missione assegnatagli da Gandalf, all'inizio dell'avventura. Gli eserciti sono in marcia, il coraggio sarà l'unica arma efficace.


La recensione di una neo hobbitiana

L'ho scritto già nelle recensioni precedenti: non amo particolarmente il fantasy, anzi. Non ho letto nulla di Tolkien, compreso Lo Hobbit. Quindi, il primo merito del regista Peter Jackson è stato quello di far avvicinare una miscredente del fantasy come me, ad una trilogia che, effettivamente, solo fantasy non è. Mi spiego: lo scrittore, affascinato dal Medioevo e dalle leggende del nord Europa, ha creato questo mondo, la Terra di Mezzo, che tra orchi, troll, hobbit ed elfi è, comunque, molto umano. La Terra di Mezzo, altro non è che una grande, poetica metafora del nostro mondo.
Nell'ultimo capitolo della trilogia, si nota di più: quando Erebor viene ripresa dai nani della compagnia di Thorin, molti sono gli eserciti che si mettono in cammino, con pretese da avanzare sull'oro della Montagna Solitaria. Anche gli esseri più nobili e puri, gli elfi, sono accecati dal rancore e dall'ingordigia. Thorin, invece, come signore assoluto si arrocca nel suo maniero e in una rabbia avara. Umani, troppo umani questi scenari che sono l'ossatura dell'ultimo film de Lo Hobbit.



Ed è stato proprio questo fondo di verità a conquistarmi. Anche gli ideali, puri, di amicizia, lealtà e dovere. Che, in quella forma, ormai, si vedono solo al cinema. Insomma, Peter Jackson mi ha fatto sognare, o meglio, fantasticare, su un mondo (im)possibile nella nostra realtà, al di fuori del cinema.
Normale avere alte aspettative ma, La battaglia delle cinque armate è come doveva essere: equilibrato tra scene di battaglia, comiche e drammatiche, dal giusto ritmo e con dialoghi interessanti. Sui protagonisti, mi ripeto: il film è stato cucito addosso al cast. Tutti straordinari, affiatati, ognuno di loro un tassello insostituibile nel mosaico di Jackson. Commovente l'amicizia tra Bilbo e Thorin.
Peccato solo che i film de Lo Hobbit non abbiano avuto la stessa fortuna de La Compagnia dell'Anello, per quanto riguarda i premi. Ha sofferto della sovraesposizione mediatica della precedente trilogia. Però, non sono solo i premi a fare di un film, un successo. Serve passione, bravura e professionalità. Che ne dite? Penso che la trilogia de Lo Hobbit ne è piena, come le sale ricche d'oro di Erebor.

La recensione dell'esperto

Ebbene, oramai siamo giunti alla fine di questo secondo, magico cammino nelle terre di Arda, il continente creato dalla brillante mente di John R.R. Tolkien quasi cento anni fa.
Prima di tutto, si può ben dire che Lo Hobbit: La Battaglia Delle Cinque Armate è stato l'episodio più travagliato della trilogia per due ragioni: la prima è quella riguardo al cambio della data di uscita, prevista prima per luglio 2014 e poi slittata al 17 dicembre dello stesso anno; la seconda riguarda invece il titolo del film, dato che inizialmente doveva chiamarsi Lo Hobbit: Andata E Ritorno, poi è stato cambiato in Lo Hobbit: Racconto Di Un Ritorno per arrivare, finalmente, al titolo definitivo con cui lo conosciamo! Già questa, secondo me, è stata una battaglia!
Non parliamo poi dell'ennesima, orribile scelta fatta dagli adattatori cinematografici italiani nel tradurre il titolo originale! In tutte le traduzioni ufficiali italiane del libro, la battaglia finale è stata sempre conosciuta col nome di "Battaglia Dei Cinque Eserciti", quindi che cosa mi significa quel "Armate"? E' forse sintomo di troppa pigrizia, dato che è stato semplicemente tradotto l'originale "Armies" in "Armate"?!
Tolto ciò, questo capitolo ha evidenziato, molto più dei due prequels, la veridicità della mia teoria riguardante la suddivisione della storia in tre film per meri scopi commerciali da parte della Warner.
Infatti, citando l'anziano Bilbo in Il Signore Degli Anelli: La Compagnia Dell'Anello, la storia cartacea, come il burro, è stata spalmata su troppo pane: nel secondo film, la "toppa" creata dall'inizio della relazione Kili-Tauriel ha retto bene, nonostante appunto le pesanti critiche di molti fan, io compreso, per via di questo amore del tutto impossibile nella mente e nei progetti di Tolkien.
Il terzo film, invece, risulta essere troppo frettoloso e pieno di gravi lacune. Non è un caso infatti che La Battaglia Delle Cinque Armate sia il capitolo più corto, non solo della trilogia de Lo Hobbit, ma di tutta la saga dedicata alla terra di Arda creata da Peter Jackson.
La durata breve infatti mi ha alquanto colpito e, allo stesso tempo, turbato, perché non presagiva nulla di buono e, puntualmente, la frettolosità di quest'ultimo film, nonché appunto la mancanza di scene-chiave per capire determinate cose hanno lasciato irrisolti numerosi quesiti.
A quel punto, ho reagito con la stessa rabbia di Smaug qui sotto!


Fortunatamente, la gran parte di queste lacune verrà colmata con la Extended Edition del film, in uscita a novembre 2015 con ben 30 minuti di scene extra, in cui assisteremo ai funerali di (SPOILER) Thorin, Kili e Fili, l'incoronazione di Dain come nuovo Re Sotto La Montagna e di Bard come Re di Dale, più scene d'azione con il bistrattatissimo Beorn il Mutapelle, il destino finale dell'Arkengemma (nella versione cinematografica, fanno passare Bard per un ladro!) e molto altro ancora.
In questo caso, non so di chi sia la colpa: di Peter Jackson, che ha fatto scelte sbagliate nell'editing e montaggio finale della pellicola? O della Warner, che ha imposto un limite di durata del film alquanto ristretto?
Non lo sapremo mai, ma è più che ovvio che, a differenza delle Extended Editions degli altri cinque film, in cui possiamo gradire la presenza di scene extra comunque non essenziali ai fini della trama principale, con Lo Hobbit: La Battaglia Delle Cinque Armate sarà necessario vedere la versione integrale per comprendere questioni importanti riguardo il destino di molti personaggi. E non è detto che la vedranno tutti, dato che molti fan non sono propensi ad acquistare o a vedere un film ancor più lungo, se non hanno apprezzato granché la versione ridotta. Un vero peccato.
Ma non prendetemi affatto per un tolkeniano integralista, come già vi dissi nei due anni passati. Le mie critiche negative si concludono qui, perché stiamo comunque parlando di un prodotto della premiata ditta "Jackson & Tolkien"!
Di fatto, vedendolo da un'ottica cinematografica, questo film è godibile e mai lento. Tutti gli attori recitano in maniera egregia (anche Orlando Bloom/Legolas, nonostante l'esageratissima scena del ponte verso la fine del film, tanto da guadagnarsi il famoso meme "Oh guarda, una legge fisica! Devo subito infrangerla!", chi ha visto o vedrà la pellicola capirà!), e anche qui, il collage tra gli avvenimenti de Lo Hobbit e delle Appendici de Il Signore Degli Anelli offre un ottimo mix come solo Peter Jackson può offrirci.
Proprio riguardo gli eventi delle Appendici, una delle scene che ho apprezzato tantissimo è stato il salvataggio di Gandalf a Dol Guldur da parte del Bianco Consiglio.


Magnifica e possente Cate Blanchett, nel ruolo della misteriosa e fortissima Dama Galadriel a confronto con Sauron (in quella scena, l'elfa si infuria, utilizzando la luce della stella di Earendil, alla stessa maniera di come farà poi con Frodo, quando lo hobbit le offre l'Unico Anello in Il Signore Degli Anelli: La Compagnia Dell'Anello, fateci caso), e grandissimi Hugo Weaving e il venerando Christopher Lee che si cimentano (nel caso di Lee ovviamente si tratta di una controfigura, a meno che il caro nonnino "Dracula" non sia ancora tanto arzillo!) in una lotta senza quartiere contro i nove Nazgul! Stupendo!
Ancora, un altro aspetto-analogia con Il Signore Degli Anelli è stato la pazzia di Thorin, colpito dalla "malattia del drago", ovvero la bramosia per l'immenso tesoro accumulato per anni da suo nonno Thror e poi rinsavito per partecipare alla battaglia finale contro il nemico comune, ovvero Sauron e le sue orde, esattamente come accade al povero Boromir, interpretato da Sean Bean, in Il Signore Degli Anelli: La Compagnia Dell'Anello, quando l'Unico Anello lo fa impazzire, cercando di uccidere Frodo, per poi tornare in sé morendo con onore contro l'orda di Uruk-Hai inviati da Saruman. Un'analogia stupenda e bellissima nella quale Richard Armitage dà prova delle sue immense doti recitative. Complimenti vivissimi.


Infine, dopo l'apprezzabile, lunga battaglia alle pendici di Erebor, estesa da Peter Jackson anche alle rovine di Dale, cosa che nel libro non avviene, un'ultima chicca nel "P.J. Style" che fa da ponte con Il Signore Degli Anelli e che ho gradito tanto è quella riguardo il gran dubbio di Legolas sul da farsi e sul come agire per iniziare l'opera di contrasto contro Sauron e i suoi adepti e lo scioglimento di tale dubbio da parte di suo padre, il re Thranduil, con il suggerimento di trovare il ramingo del nord chiamato "Grampasso", ovvero il mitico ed unico Aragorn, futuro re di Gondor, interpretato nella trilogia de Il Signore Degli Anelli da Viggo Mortensen, col quale Legolas stringerà un legame fraterno nel corso degli anni.


Da come avrete sicuramente capito, il mio apprezzamento per questo film si basa soprattutto sugli intrecci e le analogie con la prima trilogia, quella de Il Signore Degli Anelli, proprio perché questa pellicola, comunque molto bella, secondo il mio modesto parere da cinefilo, non regge appunto il ritmo con i primi due film proprio a causa delle suddette lacune colmabili solo con la Extended Edition.
Tuttavia, come già detto altre volte, Peter riesce sempre a fare quello che molti registi non sono in grado di fare, ovvero restare il più fedele possibile alla trama originale, specie nel caso de Lo Hobbit, in cui, insieme alla sua troupe, ha dovuto inventare scene e personaggi extra che molti non hanno apprezzato, proprio perché, secondo me, il progetto originale della suddivisione dell'opera in due adattamenti cinematografici sarebbe bastata. Ma ormai è inutile parlare di ciò che è stato. Pensiamo piuttosto all'enorme sforzo del cast tecnico nell'adattare questo romanzo, con toni molto diversi da quelli più cupi e adulti de Il Signore Degli Anelli, e a come siano riusciti, tutto sommato, a creare una seconda trilogia sulla Terra di Mezzo degna di tale nome.
Ora sorge un grande dubbio: con la stupenda canzone The Last Goodbye, scritta per quest'ultimo film ed interpretata da Billy Boyd, ovvero lo hobbit Pipino nella trilogia de Il Signore Degli Anelli, Peter Jackson sembra essersi congedato col grande pubblico per quanto riguarda gli adattamenti delle opere di Tolkien, dato che appunto il Maestro concesse, prima della sua morte nel 1973, solo i diritti cinematografici de Lo Hobbit e de Il Signore Degli Anelli.
Molti fan, me compreso, da tempo stanno chiedendo al regista neozelandese di cercare di parlare col restio e cocciuto Christopher Tolkien, figlio del Maestro e curatore di tutte le opere postume del padre, per ottenere i diritti per creare una nuova saga basata sul mitico libro Il Silmarillion, vera e propria genesi della Terra di Mezzo, che narra come nacque quel mondo fantastico e di ciò che accade in 5000 anni di storia, racchiusi nelle tre ere antecedenti Lo Hobbit e Il Signore Degli Anelli, o di ottenere almeno il permesso per realizzare un film basato su I Figli Di Hurin, altra opera ambientata nel continente di Arda.
La lotta, se mai ci sarà, sarà molto dura, dato che Christopher, ormai ultranovantenne, non mollerà facilmente l'osso, avendo da sempre disprezzato Peter e i suoi adattamenti, e visto che, molto probabilmente, anche gli altri discendenti di Tolkien, che prenderanno il posto di suo figlio come curatori delle opere del loro antenato, saranno stati già "addestrati" a non cedere alle lusinghe del regista o di chi per lui.
Come dice Aragorn al giovane Haleth in Il Signore Degli Anelli: Le Due Torri: "C'è sempre speranza.", quindi speriamo ed incrociamo le dita.
Intanto, aspetto con trepidazione qualcosa di più concreto, ovvero la Extended Edition del terzo film de Lo Hobbit e vi auguro buona visione e buon viaggio di ritorno a casa insieme al nostro amatissimo Bilbo!



Il trailer:


Consigliato: Assolutamente sì

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lunedì 19 gennaio 2015

Downton Ab...Boring!


ATTENZIONE! SPOILER SE SEGUITE LA PROGRAMMAZIONE ITALIANA

Anche la quinta stagione di Downton Abbey è terminata. Per fortuna. Sì, perché Julian Fellowes ha decisamente perso il suo "tocco". Gira voce che la sesta, sarà anche l'ultima stagione della serie TV britannica. Se la legge di Murphy non sbaglia, sarà bellissima, ci lascerà disperati ma, ci farà dimenticare queste ultime due stagioni, non proprio esaltanti, e le tristi dipartite di Sybil e Matthew.
But, let's talking about the fifth season.

Mary, l'ape regina


Come dicevo, Julian Fellowes ha perso decisamente il suo tocco. Con molti personaggi si è adagiato nel "canone", appiattendoli e rendendoli quasi ridicoli. E' il caso, purtroppo, della mia adorata Mary. Sempre fiera, indipendente e parecchio snob, in the right way, era comunque un personaggio tridimensionale. Dura e fredda apparentemente. Ma, che nascondeva un'interiorità tenera e vulnerabile, a cui avevano accesso in pochi. Tra i pochi, ovviamente Matthew. Proprio dopo la sua morte, Mary si è trasformata in una banale ape regina, torturando Blake e Gillyngham. Salvo poi entrare nei panni della liceale alla prima cotta, nel Christmas Special, con l'arrivo di Matthew Goode, suo probabile next lover. Spero che, nella sesta, Fellowes non voglia attentare alla nostra glicemia e che scriva per Mary un degno finale.

I love Edith


Pensare che non la sopportavo!
Durante il corso delle stagioni, il personaggio di Edith è quello che è cresciuto di più. Certo, Julian Fellowes si è parecchio accanito con la sua storia. La dolce Edith ha sofferto davvero tanto. Però, ha saputo rialzarsi e lottare per la sua Marigold, infischiandosene dei benpensanti e della società moralista dell'epoca. Well done Laura Carmichael: adorabile la sua interpretazione di Edith. 

Ci sono o ci fanno?


Cora e Robert sono altri personaggi che Fellowes si è divertito a banalizzare. Dopo una prima stagione in cui erano dei punti di riferimento per le loro ragazze, characters attivi nella storia, si sono trasformati in cliché viventi. Certo è, quasi, il normale decorso di una coppia. Però, "condannarli" ad una cotta tardiva (e ridicola) e a problemi di salute con la vecchiaia che avanza, è un po' deprimente. However, c'è sempre il lieto fine per loro. Alla faccia di Shrimpie ed ex signora.

Se son Rose...fioriranno



La prossima Cinderella della Disney, per lasciare Downton Abbey ha deciso di sposare il suo prince charming. Thanks heaven, un'altra morte i fan non l'avrebbero sopportata. All'inizio insopportabilmente frivola, poi come Edith, è cresciuta. Forse, la separazione dei genitori ha contribuito a renderla meno silly.

C'è chi parte e chi...si innamora!



Non si sa se Allen Leech tornerà nella sesta stagione. Però, Tom Branson e la piccola Sibbie sono in partenza per gli States. Durante la quinta stagione, Fellowes ha puntato nuovamente l'attenzione sulla "diversità" di Tom: nonostante sia, ormai, un membro della famiglia Crawley, l'inesauribile sete di libertà in lui non si è mai placata. Così, seppur l'affetto per la famiglia di Sybil gli ha reso difficile prendere quella decisione, Tom sembra intenzionato a partire. Cosa gli riserverà la sesta stagione? Spero non un naufragio!



Invece Isobel e nonna Violet, alla faccia della terza età, hanno tenuto banco ai membri più giovani della storia. Perché stavamo per assistere ad un matrimonio, di Isobel, e ad una fuga romantica, direzione Villa Serena, di Violet. Sicuramente non una stagione banale, per loro. Al di là degli affari di cuore, loro due insieme mi piacciono molto. La vera "storia d'amore" è tra di loro: basta ricordare com'era triste Violet quando il matrimonio, poi naufragato, di Isobel era imminente. So lovely.

Downstairs...



I Bates devono essere particolarmente odiosi per Fellowes. Per movimentare un po'la narrazione, tra le fila dei domestici, oltre ai piccioncini Carson - Hughes e alle lagne di Daisy, il caro Julian trova irresistibile mettere nei guai questi poverini. Avevamo finalmente tirato un sospiro di sollievo, e invece rivediamo le sbarre. La fine del Christmas Special ci fa sperare, la vittoria ai Golden Globe di Joanne Froggatt anche. Firmiamo tutti una petizione da inviare a Fellowes: quando non sai come movimentare la situazione, conta fino a dieci e vai oltre la B di Bates!



Cattivissimo, antipaticissimo, una vera spina nel fianco durante le prime stagioni, per molti personaggi della storia. Poi, dopo la guerra la crescita del vice maggiordomo Barrow mi ha fatto cambiare idea su di lui. Attacca per difesa, per tutelare se stesso e quello che è. Omosessuale, in un'epoca in cui esserlo significava essere visti come malati, pervertiti. Questa crescita si era bloccata nella quarta stagione, quando Fellowes l'aveva relegato nuovamente nel ruolo di cattivo bidimensionale. Nella quinta, invece, abbiamo ritrovato la sua fragilità e la sua astuzia. E ci piace.



Ne vogliamo parlare?
Forse sarò una voce fuori dal coro, ma la storyline che Fellowes ha pensato per mrs. Hughes e il maggiordomo Carson è banale. E deprimente. Sembra una storia forzata, probabilmente pensando al termine della serie. Not approved!



Baxter e Molesley: loro invece mi piacciono, molto. Soprattutto durante questa stagione, mi ha molto colpito la loro complicità. L'essere sulla stessa frequenza d'onda. E la loro bontà: la ricerca del pub in cui mr. Bates aveva pranzato, per scagionarlo da qualsiasi accusa, penso sia stato uno dei momenti più belli di questa stagione. 

Anche il Christmas Special è stato strano. La maggior parte della puntata dedicata alla gita in Scozia, dove i Crawley sono stati ospiti del padre di Atticus. E solo un quarto d'ora di atmosfera natalizia. Forse sarò troppo esigente, però Downton Abbey è scaduto nel banale. Purtroppo. Recitazione degli attori esclusa, il livello è sempre molto alto, la storia è diventata scialba, noiosa, prevedibile e, a tratti, ridicola. Sarà la milionesima volta che scrivo "ridicola", ma non lo scrivo con soddisfazione. Anzi.
Aspettiamo insieme, che un'altra alba (forse l'ultima) illumini Downton.


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venerdì 16 gennaio 2015

Recensione Flash: Dragon Trainer 2


Titolo originale: How To Train Your Dragon 2

Anno e nazione di produzione: USA 2014

Distribuzione in Italia: 20th Century Fox

Genere; Animazione/Azione/Avventura/Drammatico

Durata: 102 minuti

Cast: Jay Baruchel (Hiccup), America Ferrera (Astrid), Gerard Butler (Stoick), Craig Ferguson (Skaracchio), Jonah Hill (Moccicoso), Christopher Mintz-Plasse (Gambedipesce), T.J. Miller (TestadiTufo), Kristen Wig (TestaBruta), Kit Harington (Ereth), Cate Blanchett (Valka), Djimon Hounsou (Drago Bludvist)

Regista: Dean DeBlois

Come dico sempre io, un cinefilo, per definirsi tale, deve essere interessato sia ai film in live action sia ai cartoni animati, per continuare a a mantenere vivo il bambino che è in noi, che ci dà molte volte la spinta e la grinta giusta per andare avanti in molte situazioni della vita.
Ed è grazie a film come la saga di Dragon Trainer che il divertimento e l'avventura sono assicurati. Di fatto, dopo 4 anni dall'uscita del primo capitolo, è giunto quest'anno Dragon Trainer 2, sequel ambientato 5 anni dopo le vicende del primo film. In teoria, bisognerebbe prima vedere la serie TV Dragons: I Cavalieri Di Berk, ma non è di vitale importanza ai fini della trama, dato che fa sì da collante tra i due film, ma giusto per osservare nuove specie di draghi e le rocambolesche vicende di Hiccup, il giovane protagonista doppiato come sempre in lingua originale da Jay Baruchel, e del suo drago, il mitico Sdentato, appartenente alla razza delle Furie Buie.
Tornando al secondo capitolo, vediamo come il villaggio di Berk si sia ormai adattato a convivere con i draghi, usandoli come loro cavalcature, e come Hiccup, ormai ventenne, cerchi di capire chi egli sia e cosa vuole farne della sua vita, poiché suo padre, il possente, testardo ma gentile Stoick, doppiato originariamente da Gerard Butler, vuole iniziare a prepararlo per divenire il nuovo capo-villaggio una volta che lui non ci sarà più.
Il ragazzo, riluttante nel voler svolgere tale ruolo, preferisce infatti esplorare il mondo circostante con Sdentato, e la sola che sembra capirlo, ma comunque solo in parte, è la sua fidanzata, la coraggiosa Astrid, doppiata in lingua originale da America Ferrera.
Improvvisamente, tutto cambia quando, durante una delle loro avventure, Hiccup ed Astrid, accompagnati dai loro draghi, incontrano il giovane Ereth, doppiato originariamente da Kit "Jon Snow" Harington. Questo giovane vichingo attacca i due ragazzi, poiché il suo compito è quello di catturare draghi per il crudele e spietato Drago Blutvist, doppiato in lingua originale da Djimon Hounsou.
Infatti, il malefico guerriero, capace di dominare e sottomettere i draghi al suo volere grazie ai suoi metodi barbari, si sta preparando per dichiarare guerra al mondo con l'ausilio di un immenso esercito di draghi che man mano cattura nei suoi viaggi.
Hiccup, come sempre ottimista nel voler cercare di persuadere Drago per ottenere la pace, nonostante la ritrosia di suo padre Stoick, vecchio nemico di Blutvist, incorrerà in parecchie disavventure e in una grave tragedia, con due soli, ma importanti vantaggi: nonostante tutto, diverrà più forte, imparando finalmente a conoscere sé stesso e, soprattutto, ritroverà una persona che non ha mai potuto conoscere: sua madre, Valka, doppiata originariamente da Cate Blanchett.
Riuscirà il giovane vichingo a bloccare l'inarrestabile avanzata di Drago Blutvist?
Per fortuna, questo film rientra nella rara e ristrettissima schiera dei sequel riusciti in maniera egregia. La storia si differenzia grandemente dal primo film, com'era logico che dovesse essere, e alla domanda:"Qual è il migliore tra i due?" onestamente non riesco proprio a rispondere, anche se normalmente ho sempre le idee molte chiare a proposito della qualità di una pellicola. In questo caso, non ci riesco perché sono appunto molto differenti tra loro e belli in maniera diversa.
Dunque, è con gran trepidazione che attendo il terzo capitolo, in arrivo il 9 giugno 2017, augurandovi buona visione!

Il trailer:


Consigliato: Assolutamente sì

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martedì 13 gennaio 2015

Recensione Flash: Magic in the moonlight


Anno e Nazione di Produzione: Francia, USA 2014

Distribuzione in Italia: Warner Bros. Italia

Genere: Commedia

Durata: 98 minuti

Cast: Eileen Atkins, Colin Firth, Emma Stone, Marcia Gay Harden, Jacki Weaver

Regista: Woody Allen

Fine anni Venti. Wei Ling Soo, celebre illusionista apprezzato in tutto il mondo, è chiamato a smascherare una ragazza che sta spopolando in Provenza, con le sue doti da medium. L'incarico gli è stato affidato da un suo amico inglese, perchè sotto quelle "cineserie" si cela mr. Stanley. Così, l'uomo accetta l'incarico, con un certo divertimento, sicuro di sbugiardare con il suo ego razionale, in breve tempo, la truffatrice. Diversamente da come crede, Sophie lo sorprenderà. Magicamente.
Woody Allen, in questi ultimi tempi, regala al pubblico almeno un film all'anno. Di solito, quando ciò accade, i registi, almeno una volta, toppano. Magic in the moonlight è il classico esempio di divertissment, riuscito male. Se Midnight in Paris coniugava passato e presente in modo delizioso, e Blue Jasmine ci ha fatto conoscere un'adorabile psicotica, l'ultimo film di Allen usa l'ambientazione old fashion dell'incantevole Provence, per distrarre lo spettatore da una storia senza guizzi e con dialoghi piattissimi. Come sempre, sparsi nelle battute dei protagonisti, le riflessioni del regista, in questo caso, sulla fede in un mondo altro. Brevi momenti di divertimento, anche se non particolarmente brillanti.
Colin Firth ed Emma Stone fanno quel che possono, egregiamente, ma sono film e personaggi che non funzionano. Come To Rome with love, Magic in the moonlight è un film che si regge esclusivamente sul marchio "Woody Allen". Non che il film non sia godibile, ma agognerete arrivare al più presto alla fine.
Riprovaci ancora, Woody.

Il trailer:


Consigliato: Nì


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giovedì 8 gennaio 2015

Recensione Flash: Minority Report


Anno e nazione di produzione: USA 2002

Distribuzione in Italia: 20th Century Fox

Genere: Azione/Fantascienza/Thriller

Durata: 139 minuti

Cast: Tom Cruise, Colin Farrell, Samantha Morton, Max Von Sydow, Patrick Kilpatrick, Lois Smith, Peter Stormare, Tim Blake Nelson, Kathryn Morris, Mike Binder, Neal McDonough

Regista: Steven Spielberg

Steven Spielberg e la fantascienza sono sempre andati d'amore e d'accordo, com'è ben noto a tutti, ed è agli inizi degli anni 2000, forse seguendo l'enorme cambiamento apportato da Matrix (sì, lo so, ho scocciato con la mia trilogia cinematografica preferita, ma è la verità!). che si è dedicato al sottogenere cyberpunk: prima nel 2001 con A.I.: Intelligenza Artificiale, un film progettato da Stanley Kubrick e poi girato senza alcune modifiche della sceneggiatura originale da Spielberg, in onore dell'eccentrico collega morto due anni prima; poi nel 2002 con Minority Report, film liberamente ispirato all'omonimo racconto (in italiano tradotto come Rapporto Di Minoranza) di Philip K. Dick, famosissimo scrittore di fantascienza morto nel 1982, già noto ai più per Blade Runner (ma anche per il suo abuso di droghe che lo ha condotto alla rovina, purtroppo).
In questo film, ambientato nel 2054, osserviamo le operazioni di cancellazione totale degli omicidi nella città di Washington, grazie ad un nuovissimo reparto di polizia chiamato "Precrimine". Di fatto, sfruttando i poteri extrasensoriali e precognitivi di tre individui chiamati "Precog", una donna e due uomini, collegati a delle macchine che amplificano i loro doni, questa squadra di poliziotti riesce sempre a sventare le uccisioni in città prima che esse avvengano. Visto l'interesse del governo nei confronti di questo nuovo metodo di giustizia, arriva, nell'ufficio della Precrimine, guidato dal capitano John Anderton, interpretato da Tom Cruise, l'ispettore federale Danny Witwer, interpretato da Colin Farrell. Di fatto, l'ispettore è lì poiché se questa modalità futuristica di cattura dei criminali funziona senza alcun intoppo, il governo darà il proprio nullaosta al direttore del progetto, Lamar Burgess, interpretato da Max Von Sydow, affinché venga ampliato su scala nazionale.
Inizialmente, l'ispezione sembra andare bene, nonostante Witwer scopra che John, a causa della misteriosa scomparsa di suo figlio Sean molti anni prima, abbia cominciato a drogarsi.
La situazione precipita quando, per caso, John scopre che la prossima premonizione dei Precog riguarda un omicidio di un uomo del tutto sconosciuto che lui stesso commetterà. Cercando di nascondere tutto il più a lungo possibile, Anderton fuggirà, iniziando ad essere braccato in ogni dove dagli stessi uomini che un tempo capitanava, cercando un modo per scagionare sé stesso, convinto del fatto di essere stato incastrato da qualcuno, probabilmente una talpa nel suo stesso ufficio, e provando a cercare il rapporto di minoranza, ovvero quella piccolissima percentuale d'errore dei Precog nelle loro visioni del futuro, che potrebbe dimostrare la sua innocenza.
Riuscirà a trovarlo? Ma soprattutto, qualcuno l'ha davvero incastrato, oppure quell'omicidio avverrà davvero per mano sua?
Sentendone parlare molto positivamente per tantissimo tempo, ho finalmente trovato il tempo per vedere questa pellicola, visto che il genere cyberpunk è da sempre il mio filone fantascientifico preferito, e devo dire che il mio giudizio è alquanto contrastante. Di fatto, se la trama della pellicola è interessante, il ritmo è un po' troppo altalenante, passando da momenti lenti ad altri fin troppo adrenalinici. Il finale è per certi versi prevedibile, mentre per altri non lo è affatto. Tuttavia, è indiscussa la bravura recitativa dei tre protagonisti principali, ovvero Cruise, Farrell e Von Sydow, e se siete amanti dei poteri paranormali e di questioni di etica e morale e la loro implicazione nella società di un futuro fantascientifico, questo è di sicuro il film che fa per voi.
Buona visione!

Il trailer:


Consigliato: Nì

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