lunedì 31 agosto 2015

Recensione Flash: Il Settimo Figlio


Titolo originale: Seventh Son

Anno e nazione di produzione: UK/USA 2014

Distribuzione in Italia: Universal Pictures

Genere: Fantasy/Avventura/Epico

Durata: 103 minuti

Cast: Jeff Bridges, Ben Barnes, Julianne Moore, Olivia Williams, Djimon Hounsou, Alicia Vikander, Jason Scott Lee, Gerard Plunkett, Antje Traue, Kit Harington

Regista: Sergej Vladimirovič Bodrov

Il Settimo Figlio, ovvero un film travagliatissimo e ostacolato per varie ragioni (di cui vi parlerò dopo), che è riuscito finalmente ad approdare in tutti i cinema all'inizio di quest'anno.
In questa pellicola, basata sulla serie di romanzi dark fantasy dello scrittore britannico Joseph Delaney, assistiamo alle gesta del grande mago Master Gregory (Jeff Bridges) che, ormai vecchio e pronto a lasciare in eredità il suo posto di difensore dell'umanità al suo allievo, il giovane e talentuoso Billy Bradley (Kit Harington), dovrà per forza di cose tornare in azione quando la malefica e potentissima strega Madre Melkin (Julianne Moore) riuscirà a liberarsi dalla sua prigione e ad uccidere Billy.
Gregory, demoralizzato per aver perso l'allievo più bravo che avesse mai avuto, dovrà quindi trovare un altro giovane apprendista, che rigorosamente dovrà essere il settimo figlio di un settimo figlio. Le sue speranze verranno riposte nell'inesperto ma coraggioso contadino Tom Ward (Ben Barnes), che dovrà imparare a difendersi e a combattere il male in pochissime settimane, nonostante l'istruzione magica duri in realtà ben dieci anni, poiché Madre Melkin si sta preparando a sottomettere e a distruggere gli esseri umani con le sue legioni di demoni.
Il cammino sarà tortuoso ed intricato e molti sentimenti contrastanti ed oscuri segreti divideranno più volte maestro ed apprendista, che dovranno mettere da parte le loro continue divergenze per salvare il mondo.
Ci riusciranno?
Come dicevo prima, per via della bancarotta della Rhythm & Hues Seeks, la ditta a cui erano stati affidati gli egregi effetti speciali del film, Il Settimo Figlio, la cui uscita era stata programmata inizialmente per gennaio 2014, ha subito continui rinvii, finché la Universal e la Fox, case di produzione della pellicola, hanno finalmente optato per l'inizio del 2015.
Secondo molti, non è valsa affatto la pena di attendere questo film, totale flop al botteghino, poiché si tratterebbe solo di un poutpourri di vari cliché della cinematografia fantasy, ma a mio parere, tutte queste recensioni catastrofiche non rispecchiano affatto la verità: di fatto, già solo leggendo il titolo, era secondo me più che ovvio che una pellicola del genere fosse un miscuglio di vari aspetti del fantasy classico, dunque, molte volte, certe pretese da parte degli spettatori sono fin troppo esagerate. Di certo Il Settimo Figlio non è un kolossal, ma comunque non è assolutamente da denigrare e bistrattare, dato che è alquanto godibile ed interessante.
Il mio plauso va principalmente a Jeff Bridges, mitico come sempre. Peccato invece per Kit Harington, che dura giusto un paio di minuti rispetto al protagonista Ben Barnes: infatti, sarebbe stato più giusto dare risalto a "Jon Snow", noto ai più solo a livello televisivo, piuttosto che al "Principe Caspian", ormai famoso già da tempo in tutto il mondo. Sarebbe stata un'ottima occasione per farlo conoscere anche a livello cinematografico. Vabbé, sarà per la prossima volta.
Nonostante ciò, consiglio di vedere questa pellicola, visto che è adatta a tutti ed è ottima per passare una bella serata all'insegna del fantasy.
Buona visione!

Il trailer:


Consigliato: Sì

INCURSIONI CINEMANIACHE, seguiteci su:

Fan Page Ufficiale Facebook

Profilo Ufficiale Twitter

giovedì 27 agosto 2015

Recensione Flash: La risposta è nelle stelle


Anno e Nazione di Produzione: USA 2015

Titolo Originale: The Longest Ride

Distribuzione in Italia: 20th Century Fox

Genere: Drama/Romance

Durata: 139 minuti

Cast: Britt Robertson, Scott Eastwood, Jack Huston, Oona Chaplin, Alan Alda

Regista: George Tillman Jr.

Sophia studia arte, manca poco al termine degli studi e ha già ottenuto uno stage presso una prestigiosa galleria d'arte moderna di New York. Luke è la star dei rodeo nel North Carolina: il suo sogno è diventare campione mondiale ma, una brutta caduta ha momentaneamente rallentato la sua corsa al titolo. Quando i due si incontrano, scatta qualcosa. Però i loro mondi di provenienza, così diversi, non sembrano conciliabili. Poi, una sera, dopo il loro primo appuntamento, sulla strada del ritorno soccorrono un'automobilista ferito, il signor Ira Levinson. La storia e la lezione di vita che l'anziano impartirà a Sophia e Luke affermerà l'inizio di una grande storia d'amore.
Film tratto da un romanzo di Nicholas Sparks, e ha come protagonisti (compresi quelli secondari) degli attori molto cool: avete ancora dubbi su che tipologia di film si tratti? Sicuramente no, ma dato che sono logorroica, ve lo spiego ugualmente. Partiamo dal titolo: ennesimo obbrobrio made in Italy: molto più pertinente il titolo originale, le stelle i titolisti italiani le inizieranno a vedere se continueranno a rinominare film a casaccio! Questo film non mi ispirava nemmeno un po', a partire dalla protagonista principale: io, Britt Robertson, non la sopporto. La vidi per la prima volta nella serie TV, The Secret Circle e mi rimase impressa per la sua totale inespressività. Qualcosa è cambiato, ma diciamo anche che il film non era particolarmente impegnativo da recitare. Scott Eastwood: prima volta che vedo all'opera il figlio di Clint. Si merita la sufficienza come incoraggiamento ma, deve dimostrare che oltre ai muscoli (sul set chiedeva spesso alla Robertson di ammirare i suoi pettorali: prevedo una carriera memorabile se sono queste le cose importanti per il buontempone) papà Clint gli ha trasmesso anche un po' del suo genio. Paradossalmente, tra le due coppie, quella che mi è piaciuta di più è stata la secondaria, formata da Jack Huston e Oona Chaplin: molto più espressivi e coinvolgenti. Per fortuna che c'erano loro, altrimenti avrei abbandonato il film a metà.

Il trailer:



Consigliato: Nì

INCURSIONI CINEMANIACHE, seguiteci su:

Fan Page Ufficiale Facebook

Profilo Ufficiale Twitter

venerdì 21 agosto 2015

Recensione Flash: Taken 3: L'Ora Della Verità


Titolo originale: Taken 3

Anno e nazione di produzione: FRA 2015

Distribuzione in Italia: 20th Century Fox

Genere: Azione/Giallo/Thriller

Durata: 109 minuti

Cast: Liam Neeson, Famke Janssen, Maggie Grace, Al Sapienza, Forest Whitaker, Dougray Scott, Dylan Bruno, Leland Orser, John Gries, David Warshofsky

Regista: Olivier Megaton

Dopo tre anni da Taken: La Vendetta, il mitico Bryan Mills, interpretato come sempre da Liam Neeson, ritorna sul grande schermo con quello che è il terzo, e probabilmente anche ultimo, capitolo della saga di Taken: Taken 3: L'Ora Della Verità!
A differenza dei primi due film, in cui la trama era più o meno la stessa, solo che i ruoli si invertono tra il primo e il secondo, in questa pellicola Bryan, felice di vivere nella stessa città di sua figlia Kim, interpretata come sempre da Maggie Grace, e della sua ex-moglie "Lenny" Lenore (Famke Janssen), nonostante le ritrosie del suo secondo marito Stuart (interpretato in questo film da Dougray Scott e non più da Xander Berkeley come in Io Vi Troverò, ed infatti ho fatto fatica a capire se fosse ancora lo stesso uomo oppure un altro nuovo compagno di Lenore), si ritrova improvvisamente in una situazione terribile e del tutto inspiegabile: tornato un giorno a casa, trova Lenore uccisa nel suo letto e la polizia che lo stava aspettando. Grazie alle sue abilità di ex agente della CIA ed esperto di arti marziali, riesce a sfuggire e, mettendosi in contatto con sua figlia e i suoi amici e colleghi, riuscirà a trovare un luogo sicuro in cui stare e da cui spostarsi per cominciare a fare luce sul misteriosissimo assassinio, tramite il quale è stato incastrato. Intanto, la polizia, capitanata dall'instancabile e furbo ispettore Franck Dotzler, interpretato da Forest Whitaker, continua le ricerche e gli dà costantemente la caccia.
Chi è stato a compiere l'omicidio e perché, almeno apparentemente, ce l'ha proprio con Bryan, che ormai da tempo si è ritirato e non ha avuto quindi modo di crearsi dei nemici, dopo gli eventi del secondo film?
A differenza dei primi due capitoli, Taken 3: L'Ora Della Verità si discosta ampiamente da quello schema narrativo, avvicinandosi di più a film come Il Fuggitivo e U.S. Marshals: Caccia Senza Tregua, con l'unica differenza che Bryan è una spia esperta, capace di volatilizzarsi nel nulla e di compiere azioni mirabolanti.
Questo crea quindi un effetto di copione già visto, fortunatamente però colmato dalla trama, come sempre molto attiva e al cardiopalma, e dal finale imprevedibile, che riesce a bilanciare questo scompenso.
Complimenti davvero a Forest Whitaker, dato che non ho mai avuto modo di vederlo recitare, almeno fino ad ora, e bellissime davvero le due citazioni del primo film, ovvero "Buona fortuna!" e "Io ti troverò" (se amate questa trilogia, avrete i brividi vedendo chi le pronuncerà).
Taken 3: L'Ora Della Verità è promosso quindi con buoni voti per essere l'atto finale della saga e lo consiglio, naturalmente insieme alle prime due pellicole, a tutti gli amanti dei film d'azione e thriller.
Buona visione!

Il trailer:


Consigliato: Sì

INCURSIONI CINEMANIACHE, seguiteci su:

Fan Page Ufficiale Facebook

Profilo Ufficiale Twitter

lunedì 17 agosto 2015

Recensione Flash: Le regole del caos


Anno e Nazione di Produzione: Gran Bretagna 2015

Titolo originale: A little chaos

Distribuzione in Italia: Eagle Pictures

Durata: 112 minuti

Genere: Drama/Romance

Cast: Kate Winslet, Matthias Schoenaerts, Alan Rickman, Stanley Tucci, Helen McCrory, Jennifer Ehle

Regista: Alan Rickman

André Le Notre, capo giardiniere di Versailles, è incaricato dal Re Sole di assumere qualcuno per la costruzione del "giardino roccioso", un piccolo anfiteatro nel verde immenso della nuova reggia. La prescelta è Sabine de Barra, vedova e giardiniera, la cui passione è diventata lavoro. Diversi, eppure così simili, André e Sabine lavoreranno fianco a fianco per sorprendere il Re, che troverà nel caos creativo di Sabine il giusto coronamento della nuova dimora reale. E sorprenderanno se stessi, scoprendo la loro capacità di rifiorire alla vita.
Seconda regia dell'attore inglese Alan Rickman, che sceglie la Francia e Versailles come location per una nuova storia da raccontare. Arricchisce le vicende di André Le Notre, realmente esistito ed interpretato da Matthias Schoenaerts, romanzandole col personaggio di Sabine, che ha il volto di Kate Winslet, grande amica di Rickman. Molto curate ambientazioni, ricostruzione storica e fotografia, ma la storia risente del troppo spazio dato ai drammi dei due protagonisti che ancorano il film ad un po' di noia. Molto buona l'interpretazione di Kate Winslet, e mi sono piaciuti anche Stanley Tucci e Alan Rickman. Spenta la prova di Schoenaerts, passivo e trascinato dagli eventi. Bello ma non troppo.

Il trailer:



Consigliato: Nì


INCURSIONI CINEMANIACHE, seguiteci su:

Fan Page Ufficiale Facebook

Profilo Ufficiale Twitter





mercoledì 12 agosto 2015

Recensione Flash: Jupiter: Il Destino Dell'Universo


Titolo originale: Jupiter Ascending

Anno e nazione di produzione: USA 2015

Distribuzione in Italia: Warner Bros.

Genere: Fantascienza/Azione/Avventura

Durata: 127 minuti

Cast: Mila Kunis, Channing Tatum, Sean Bean, Eddie Redmayne, Douglas Booth, Tuppence Middleton, Terry Gilliam, James D'Arcy, Bae Doona, Tim Pigott-Smith, Jeremy Swift, Ramon Tikaram

Registi: Andy e Lana Wachowski

Tre anni dopo il visionario Cloud Atlas, i miei amatissimi fratelli Wachowski ritornano sul grande schermo con la loro nuova pellicola: Jupiter: Il Destino Dell'Universo!
Il film narra la storia della giovane immigrata clandestina russa Jupiter Jones, interpretata da Mila Kunis, che lavora come donna delle pulizie a Chicago. La sua vita cambia improvvisamente quando, durante un intervento medico, la ragazza viene assalita da un gruppo di alieni intenzionati ad ucciderla. A salvarla appena in tempo è il giovane guerriero interplanetario, metà uomo e metà lupo, Caine Wise (Channing Tatum), che la conduce in un luogo sicuro in cui le verrà rivelata la verità: Jupiter è la reincarnazione della potente matriarca della Casata degli Abrasax, una delle dinastie aliene più forti dell'universo, che millenni prima creò la razza umana e la usò per inseminare il pianeta Terra, usato da loro come luogo per la prolificazione della specie, fino all'inizio della "mietitura", ovvero quando l'intera popolazione verrà prelevata e sacrificata per mantenere vivi in eterno i tre signori degli Abrasax: Balem (Eddie Redmayne), Titus (Douglas Booth) e Kalique (Tuppence Middleton).
Scioccata ed orripilata, Jupiter inizialmente si rifiuterà di accettare il suo ruolo di prossima padrona del cosmo, ma poi dovrà cominciare a fare delle scelte, se vorrà che la Terra venga salvata dall'apocalisse. Ci riuscirà?
Condivido il parere di molti fan dei due fratelli registi di Chicago: per essere una pellicola realizzata dai Wachowski, mi aspettavo molto di più. Deludente, soprattutto dal punto di vista della trama, ma altamente impressionante e stupefacente per quanto riguarda gli effetti speciali. Chissà, forse il calo degli standard cinematografici sarà stato causato dal grande progetto, da tempo in cantiere, dei due registi, appena approdato su Netflix, ovvero Sense8, la primissima serie TV realizzata dal duo.
La certezza non può darcela nessuno, ma quel che è certo è che, se siete amanti dei Wachowski e degli effetti speciali iper-spettacolari, non potrete esimervi dal vedere questo film.
Buona visione!

P.S. Tranquilli: in questa pellicola Sean Bean non muore!

Il trailer:


Consigliato: Sì, ma solo se amate i Wachowski e gli effetti speciali

INCURSIONI CINEMANIACHE, seguiteci su:

Fan Page Ufficiale Facebook

Profilo Ufficiale Twitter

sabato 8 agosto 2015

Tut: quando la storia diventa melò


Girovagando online, qualche giorno fa ho scoperto Tut, mini-serie di tre puntate sul faraone Tutankhamon. Per una come me, che dell’antico Egitto ne ha subito il fascino fin da piccola (vi basti sapere che volevo diventare archeologa e trasferirmi a Il Cairo!) ed essendo anche una TV series-Addicted, potevo non vedere Tut? Certo che no!
Necessaria premessa: ovviamente, la storia narrata nella mini-serie non gode di veridicità storica, anche perché del faraone Tutankhamon si sa davvero poco. Le uniche notizie che ci sono giunte raccontano di un monarca, morto a soli 19 anni, figlio del faraone eretico Akhenaton e della sorella, Nefertiti o Tuya: l’identità della madre di Tutankhamon non è ancora certa. A sua volta, il faraone-bambino, salito al trono in tenera età, sposò la sorellastra, Ankhesenamon.


Dicevo: Tut è molto romanzato e non aderente alla realtà. Ne volete subito una prova?


Questo è il Tutankhamon della serie TV: Avan Jogia. Inutile dirvi che mi sono perdutamente e follemente innamorata di questo giovane attore canadese di origine indiana. Bello e bravo.

Questo era il vero Tutankhamon: avete capito cosa intendo? Certo, qualcuno dirà: è normale che gli attori siano più belli dei protagonisti reali. E vi dò ragione. Ma le inesattezze non finiscono qui, perché il rapporto tra Tut e la sua sposa-sorella era forte e sincero. Commovente la poesia/lettera che Ankhesenamon scrisse allo sposo, ormai deceduto:

"Disgrazia! Disgrazia! Sono la sorella tua che hai molto amato. Ma perchè così lontano da me, tu che con me sapevi scherzare così bene e tanto amarmi. E tuttavia bello è questo giorno, perchè colui che è felice rinascerà nel corpo di Osiride".

"O misero, misero" mormora Ankhesenamon, "ora tu taci e nulla più dici. Tu che avevi tanti servi, forse sei là dove non c'è nessuno, tranne gli immensi con gli occhi ardenti. Ma bello è questo giorno, perchè ti proteggeranno l'uomo, lo sciacallo, la scimmia e il falco, che sono le quattro facce di Horus".

I due ragazzi, insieme, hanno dovuto affrontare un periodo davvero turbolento della storia dell’antico Egitto: il padre, faraone della diciottesima dinastia, aveva istituito il culto monoteista di Aton, spazzando via l’intero pantheon egizio. Questa situazione fu tollerata per poco dai sacerdoti, così il culto di Amon fu ristabilito, e alla morte di Akhenaton i figli cambiarono nome (Tutankhaton ---> Tutankhamon), e governarono l’Egitto secondo i precedenti canoni religiosi e politici.

Bene, dimenticatevi tutto quello che vi ho detto fino ad ora e parliamo della serie :D


Avan Jogia è un energico Tutankhamon, ribelle e volitivo, che sta imparando a governare la nazione più importante, ricca e potente di quel periodo. Interessato al benessere del suo popolo, spesso Tut si confonde nella folla della città di Tebe e osserva la vita di tutti i giorni dalla prospettiva dei suoi sudditi. In una di queste ‘missioni segrete’ conosce Lagus, che diventerà uno dei suoi più fedeli alleati, e Suhad, metà egiziana e metà Mitanni, di cui il giovane faraone si innamorerà perdutamente.


Proprio la relazione con Ankhesenamon è il motore di intrighi e gelosie: i due si vogliono bene ma non si amano. Come Tut si innamora di Suhad, Ankhe da tempo è innamorata di Ka, amico fraterno del faraone fin da piccolo. Costretta, però, dalla ragion di stato a sposare il fratello, Ankhe e Ka si ameranno di nascosto e la loro storia non avrà un lieto fine. Mi fermo qui, non voglio svelarvi di più.


Come Suhad e Tut: il faraone ama talmente tanto la ragazza da tralasciare la sua origine Mitanni, nemici giurati dell’Egitto. Quando Tut la porta a Tebe, la ragazza dovrà vedersela con le macchinazioni mortali del palazzo reale.


I principali burattinai sono Ankhe, (quella gran bagascia! Scusate il linguaggio colorito ma se vedrete o avete visto la serie sapete il perché) e il visir Ay, interpretato dal grande Ben Kinglsey. Un visir dal marcato accento inglese ma tant’è: sulla bravura di Kingsley non si discute, il suo Ay ha saputo davvero inquietare a dovere. Carismatico e pericoloso come un cobra, è il vero vincitore alla fine della serie.
Tut è stata una piacevole scoperta, certo a qualcuno potrebbe dare fastidio che gli sceneggiatori abbiano calcato un po’ troppo la mano con il melò, ma quando le serie TV storiche devono competere con Il trono di Spade per attirare il pubblico, devono pur inventarsi qualcosa. Non credo sarebbe stato lo stesso, se avessero raccontato di un faraone affetto da molteplici malattie genetiche, bruttarello e sfigato. Più che Tut sarebbe stato un Dottor House dell’antico Egitto! Quindi, mettiamo da parte la storia e godetevi la versione romanzata e avvincente di questo Tutankhamon. E chi può dirlo: forse quello vero, dal mondo dei morti, ringrazia.


INCURSIONI CINEMANIACHE, seguiteci su:

Fan Page Ufficiale Facebook

Profilo Ufficiale Twitter


lunedì 3 agosto 2015

Recensione Flash...Doppia! Che: L'Argentino & Che: Guerriglia


Titolo originale: The Argentine/Guerrilla

Anno e nazione di produzione: FRA/SPA/USA 2008

Distribuzione in Italia: BiM Distribuzione

Genere: Storico/Biografico

Durata: 130 minuti/132 minuti

Cast: Benicio Del Toro, Julia Ormond (Parte 1), Franka Potente, Armando Riesco, Catalina Sandino Moreno, Demian Bichir, Rodrigo Santoro, Santiago Cabrera (Parte 1), Edgar Ramirez, Victor Rasuk (Parte 1), Lou Diamond Phillips (Parte 2), Joaquim de Almeida (Parte 2), Jordi Mollà (Parte 2)

Regista: Steven Soderbergh

Ernesto Guevara de la Serna, meglio noto come Che Guevara (Che dall'intercalare, tipicamente argentino, che il comandante usava spesso quando parlava, corrispondente al nostro "Ehi!", e grazie al quale i suoi uomini crearono il nomignolo bonario con cui divenne famoso in tutto il mondo). Si sono dette di cotte e di crude sulla mitica figura di colui che volle, prima di tutti, cambiare per sempre la storia del Sud America, basando la sua lotta sui principi veri e puri del comunismo marxista.
Ho deciso di approfondire la storia del grande amico di Fidel Castro (riguardo il quale, probabilmente, se il Che fosse vissuto più a lungo, ne sarebbe diventato un acerrimo nemico, viste le politiche del capo di Cuba), dopo aver visto il consigliatissimo I Diari Della Motocicletta, che narra del famoso viaggio nel continente latino-americano compiuto dal giovane Ernesto nel 1952 col suo fidato amico, il biochimico Alberto Granado, un viaggio che lo cambiò per sempre in maniera profonda, dopo aver visto coi suoi occhi in che condizioni miserevoli e tragiche viveva la gran parte dei popoli del Sud America.
Spinto dalla curiosità, condivisa con un mio amico, ho dunque deciso di vedere l'epopea del Che, realizzata in due film dal regista statunitense Steven Soderbergh: Che: L'Argentino e Che: Guerriglia, usciti entrambi nel 2008, con protagonista il grande Benicio Del Toro.
Molti, leggendo questa recensione doppia, potrebbero tacciarmi di essere filo-comunista, filo-cubano o chicchessia, e ciò sarebbe potuto accadere anche se si fosse trattato di altre pellicole del genere, dato che il tema politico è una faccenda alquanto delicata perfino nel mondo della cinematografia, quindi quello che leggerete è semplicemente una mia analisi personale, realizzata nella maniera più obiettiva possibile, della figura di Guevara, di ciò che ha fatto e dei suoi ideali, portando all'attenzione dei lettori sia i suoi pregi che i suoi difetti.
Iniziamo dunque.

CHE: L'ARGENTINO

Nella prima parte, osserviamo tutte le tappe della rivoluzione cubana, organizzata da Fidel Castro, spinto dal desiderio di liberare la sua nazione dal dittatore Fulgencio Batista, appoggiato da sempre dagli Stati Uniti. Si inizia con l'incontro in Messico, durante una cena organizzata da amici comuni, tra Ernesto Guevara e il futuro Lider Maximo, che dà inizio alla loro amicizia, nata dall'amore comune per il comunismo e il marxismo. Vediamo quindi tutti gli avvenimenti storici della rivoluzione, dallo sbarco dallo yacht Granma con pochi uomini, fino agli assalti e alle guerriglie continue ed implacabili, che più volte costrinsero gli uomini a dividersi, per poi ritrovarsi nella battaglia finale, avvenuta a Santa Clara, dove il Che e i suoi uomini riuscirono a sconfiggere del tutto gli ultimi avamposti di Batista, spingendo il dittatore filo-statunitense a fuggire nella Repubblica Dominicana e permettendo a Fidel di entrare, da trionfatore e nuovo capo di Cuba, a L'Havana.
Il bello di questo primo film è l'alternanza tra i flashback e i flashforward, visto che la storia viene narrata dallo stesso Guevara ad una giornalista statunitense, durante la permanenza del comandante e ministro cubano a New York nel 1964 per lo storico incontro all'Assemblea Generale dell'ONU, dove pronunciò il suo famoso discorso contro il capitalismo e le eccessive ingerenze degli Stati Uniti nelle questioni cubane e sudamericane.
Bisogna inoltre osservare come è stata ben strutturata la psicologia dei personaggi, molto fedele agli originali, che è ciò che rende Che: L'Argentino a tratti lento ma, nonostante tutto, molto interessante.


CHE: GUERRIGLIA

Sebbene però anche Che: L'Argentino fosse lento ma, fortunatamente, compensato da aneddoti interessanti, la seconda ed ultima parte, ovvero Che: Guerriglia, che parla degli ultimi tre anni di vita di Ernesto, risulta essere, a mio parere, un po' troppo pesante. Forse, la pesantezza è il risultato del dispiacere causato dai fallimenti e dal declino finale del Che: infatti, dopo aver tentato di portare la rivoluzione in Congo, a Panama e nella Repubblica Dominicana, Ernesto tentò di rivoluzionare anche il resto del Sud America, cominciando dalla Bolivia, secondo alcuni perché, liberando i boliviani, avrebbe potuto raggiungere la sua patria, l'Argentina, e cambiare anch'essa per sempre. Ma, a differenza di Cuba, dove lui e Fidel, che più volte gli aveva sconsigliato di partire, avevano trovato situazioni favorevolissime alla rivoluzione armata, in Bolivia le cose non stanno affatto così: le intenzioni del Che, che da sempre voleva liberare il Sud America dal pensiero fallace ed artificioso dei confini nazionali, creando un continente con una sola identità comune, vengono totalmente bistrattate dai boliviani, che da una parte sono tenuti a bada dal governo dittatoriale del presidente René Barrientos, che fece spargere menzogne spaventose e terribili riguardo i guerriglieri di Guevara tra la popolazione, mentre dall'altra vennero del tutto scoraggiati dal partito comunista boliviano, da sempre filosovietico e mai a favore di Cuba. Il comandante dunque si ritrovò con un pugno di uomini e costretto sempre e solo ad azioni di semplice guerriglia nella giungla, senza mai ottenere vittorie schiaccianti, visto che, a differenza di Batista, il presidente Barrientos si avvalorò segretamente dell'appoggio della CIA che, facendo gli interessi statunitensi, non avrebbe mai permesso l'arrivo del comunismo in un'altra delle loro roccaforti sudamericane.
Quest'ultima parte crea quindi grande nostalgia ed infelicità negli spettatori che, secondo me, proprio per questa ragione, avvertono con maggiore impatto la lentezza della pellicola, proprio per via dei continui errori e delle scelte sbagliate di Guevara durante le sue ultime gesta.

Ma, nonostante ciò, ho apprezzato molto i due film, dato che così finalmente so chi era Ernesto Guevara (anche se è comunque consigliata la bibliografia dedicata a tal proposito, essendo più completa).
I miei complimenti vanno sia a Benicio Del Toro, identico sia nell'aspetto fisico che in quello psicologico al Che, che a Demian Bichir, l'interprete di Fidel Castro, bravissimo e perfetto in ogni minimo gesto (ciò naturalmente lo si può capire solamente avendo visto qualche discorso del vero Fidel, facilmente rintracciabile su YouTube).
Indipendentemente dalle mie idee politiche, che non sto qui a rimarcare, le imprese e le azioni di Che Guevara furono incredibili e lodevoli, dato che tentò, più di tutti, di mettere realmente in pratica le teorie marxiste, a differenza di ciò che fecero l'U.R.S.S. e la Cina, ree di aver storpiato totalmente a vantaggio di pochi la dottrina comunista. Allo stesso tempo, questi suoi tentativi furono la dimostrazione pratica del fatto che il comunismo è purtroppo solo un'utopia, poiché l'impatto con l'ormai irrefrenabile e radicato sistema capitalista, rappresentato dagli Stati Uniti, era più che inevitabile e pressoché impossibile da sconfiggere.
La questione più importante che ha comunque cambiato la maniera d'agire e di pensare di milioni di persone al mondo fu proprio quella che, come più volte confermato dallo stesso Che, se le cose devono cambiare in una nazione, l'unica maniera è la rivoluzione armata. Di certo, né Guevara né ancor di più Fidel erano e sono dei santi, visto che anche loro hanno ucciso molte persone, ma il cambiamento purtroppo, sia nel bene che nel male, porta con sé sempre un gran numero di vittime.
In conclusione, i miei ringraziamenti vanno sia a Walter Salles, regista de I Diari Della Motocicletta, tramite il quale ho appunto visto quanto diverso fosse il giovane Ernesto rispetto all'Ernesto rivoluzionario, e a Steven Soderbergh per queste due pellicole, poiché grazie ad essi ho imparato ad apprezzare di più quest'uomo, spinto da desideri di aiuto verso il prossimo e di amore per la propria patria, indipendentemente dai suoi ideali politici.
Buona visione!

I trailer:



Consigliati: Sì, se siete interessati a conoscere la storia del Che

INCURSIONI CINEMANIACHE, seguiteci su:

Fan Page Ufficiale Facebook

Profilo Ufficiale Twitter